Sabato 15 ottobre le strade erano piene di gente, più o meno appartenente a diverse realtà politiche, unita nell'affermare che la crisi, prima finanziaria, poi del debito nazionale, non deve essere pagata dagli strati sociali meno implicati con le cause della crisi stessa. Una piattaforma ampia che potrebbe aggregare un movimento davvero popolare e intergenerazionale, visto che sempre di più si diffonde la coscienza delle responsabilità economiche di questa crisi e delle brutture che essa disegna. Finalmente non si additano più rom e migranti come responsabili del declino occidentale: molti hanno compreso il ruolo cruciale delle banche, degli istituti di credito, degli operatori finanziari e della classe della grande impresa (che qualcuno chiama ancora padroni).
Al di là di questo generico accordo di posizioni, il corteo era al suo interno composto di microaree, ognuna della quali offriva un punto di vista particolare sulla crisi e sui metodi da impiegare per superarla.
Dirò una quasi-banalità: la pluralità è una grande ricchezza se si comprende come far interagire dialetticamente le voci e le ragioni, ma diventa misera frammentazione quando il dialogo si trasforma in uno scontro nel quale ognuno rivendica la propria fantomatica purezza e accusa moralmente l'altro di partecipare a vario titolo al gioco del potere. Ciò mi pare dividesse le due macroaree che si possono individuare tra le posizioni di quella giornata (coscienti della semplificazione, tenteremo di stare lontani da ogni riduzionismo): l'area che pensa che sia possibile una via istituzionale, che mira ad un nuovo governo come fuoriuscita dall'impasse politica ed economica; e l'area che crede che la crisi sia solo una manifestazione epidermica di un sistema profondamente ingiusto da superare necessariamente per via extraistituzionale. La prima, composta principalmente da partiti (idv, sel, parzialmente anche fds), sindacati (cgil, pazialmente usb) e alcune frange movimentiste più istituzionalizzate, accusa la seconda di essere sostanzialmente irresponsabile, cinica e della filosofia del “tanto peggio tanto meglio”. La seconda, composta da diversi centri sociali (Snia, Acrobax), movimenti (notav), realtà associative, accusa la prima di voler trasformare la giornata del 15 in un trampolino di lancio di un'operazione eminentemente politicista e poltronista.
Come in ogni posizione eccessivamente marmorea, la semplificazione e la stigmatizzazione dell'altro prevalgono sulla plausibile ragionevolezza di entrambe posizioni. Non è un banale invito al giusto mezzo ma un tentativo di usare la lente della critica sul mondo, e non l'imbuto della semplificazione.
Io credo che sia possibile un'altra via, rispetto alle due indicate; e cioè la via della continua messa in discussione delle conquiste -caso mai conquistassimo qualcosa. Cioè: l'opposizione non all'istituzionalizzazione, alla legalizzazione in sé delle conquiste, ma alla cristallizzazione delle stesse, all'idea vertenziale delle lotte, per cui: raggiunto un obbiettivo, buonanotte suonatori (compreso l'obbiettivo della maxivertenziale, ortodossissima rivoluzione comunista). Ciò non esclude né una via parzialmente istituzionale né una via tumultuosa, ma è al contrario una continua tensione fra le due visioni. A scanso d'equivoci: s'avvicina molto poco (per niente) al cosiddetto riformismo di sinistra, e molto più ad una democrazia dei territori diretta e orizzontale.
Se da questi miseri anni a cavallo dei millenni potessimo trarre insegnamento, esso potrebbe essere che: la via istituzionale al cambiamento è un fallimento a priori, visto ch'è interamente giocata nel campo politico dell'avversario, che fa e disfa le regole a suo piacimento; la via della rivolta è inconcludente, pericolosa e irresponsabile.
Perché non immaginarsi altro? Perché non smetterla di accusarsi a vicenda (alcune accuse, non solo da parte di Maroni, sono davvero infamanti e ingiuste, come quelle rivolte al centro sociale Acrobax)? Perché non riunire le forze che genuinamente credono in un altro mondo (e qui rifletterei se in quest'altro mondo volessimo le leggi reali) e tentare una via nuova?
4 commenti:
http://www.valigiablu.it/doc/572/senza-futuro-non-c-pace-cosa-successo-il-15ottobre.htm
Il tuo richiamo alla "democrazia dei territori diretta e orizzontale" lo considero una luce in fondo a questo tunnel. però non nego che il senso di insoddisfazione e di delusione è sempre molto forte. si fa molta, troppa fatica a deistituzionalizzare la questione;moltissima gente, come affermi tu, ha preso coscienza della situazione ma, francamente, x molti la soluzione continua a porsi lungo la linea del continuum destra-sinistra. che invece, e qui mi ricongiungo alla democrazia diretta e orizzontale, si possano raggiungere dei risultati con la creazione di piccole cellule di alternativa?
certo molta gente prefigura come soluzione nuove elezioni e un nuovo governo o, peggio, un governissimo di falsi tecnocrati alle dipendenze dell'europa (che, ta l'altro, fa davvero una figura pessima in sti giorni).
Cellule di alternativa sono però possibili e auspicabili! forse è da qui che si potrebbe convincere diverse persone che la soluzione ai problemi non è -e non potrà mai essere- la scelta della rappresentanza, ma una vera partecipazione...
esempio di alternativa? e si potrebbe anche riaprire la questione l'aquila, finita nel dimenticatoio...
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/21/dei-partiti-non-ci-fidiamo-piu-gli-aquilani-lanciano-una-coalizione-della-societa-civile/165171/
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