Ripartiamo aprendo un interessante dibattito.
L'Italia è il Paese nel quale si concentrano la maggior parte delle bellezze mondiali, dove storia, natura, arte e cultura si incontrano e lasciano senza fiato.
Ma l'Italia è anche il Paese dove la crisi morde in maniera più aggressiva, dove il lavoro "basta andarselo a cercare solo che: è nero, saltuario e soprattutto pesante" (cit. 99 posse).
E allora cosa succede quando la possibilità di creare nuovi posti di lavoro viene a scontrarsi con un ritrovamento archeologico?
"Il lavoro prima di tutto" e "con la cultura non si mangia". E' questa una situazione nella quale le tradizionali frasi precostituite dell'appesantito dibattito politico e sociale italiano non fanno altro che portare in un vicolo cieco, una strada senza uscita.
http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2011/10/17/news/archeologia_industriale-23359564/?ref=HREC1-12
3 commenti:
Beh, l'industria italiana è da classificarsi come archeologia essa stessa, il livello economico ha permesso di riempire il paese di ricercatori che non trovano aziende all'altezza della loro istruzione.
L'industria non si è evoluta come nel resto del mondo e ha perso il vantaggio che aveva nei confronti del mondo più povero, perché anziché investire sulla ricerca (investimento tra i più "sicuri", se vogliamo parlare con il loro gergo) si corrompono gli azionisti, si rafforza e gerarchizza la posizione di manager che prendono come 600 operai o si inscenano crac finanziari dopo anni di inerzia finanziaria (che hanno il fine stesso dei crac).
Per rispondere alla domanda, beh, ci sono tanti archeologi precari, possiamo dar lavoro anche a loro, tanto hanno dimostrato più volte di essere in grado di fare soldi anche sulla cultura di tutti.
Ritz, mi spieghi meglio la frase "tanto hanno dimostrato più volte di essere in grado di fare soldi anche sulla cultura di tutti" che temo di non averla compresa bene?
Sì, ho scritto male. Manca il soggetto, che è generico, di certo non gli archeologi.
Dicevo che "chi tira i fili" ha dimostrato di riuscire del business in maniera remunerativa anche sulla cultura. Non che sia un merito, e per due motivi: non lo definirei tale, e poi di certo non sono loro a trovare i modi, perché bisogna capirne qualcosa.
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